Caso Caruso - Se i tifosi del ciclismo accusano UCI e atletica. Tra benaltrismo e difese corporative

La notizia della positività all'EPO di Giampaolo Caruso riporta in primo piano alcuni temi scottanti sul fronte doping. In particolare, rimette al centro della scena il rapporto doping-tifosi. Prima di approfondire questo tema, occorre riportare i fatti per capire di cosa si sta parlando.
Giampaolo Caruso, corridore siciliano della Katusha, "è stato dichiarato positivo all'Epo dopo un riesame della provetta di urina raccolta in un controllo fuori competizione il 27 marzo 2012. Il nuovo test è stato effettuato dal laboratorio dell'Uci (la federciclo mondiale) a Losanna, e fa parte della strategia della Cadf, la fondazione antidoping (totalmente indipendente dall'Uci)".
Facile capire che siano emerse variazioni, anche lievi, del profilo del passaporto biologico di Caruso, che abbiano quindi portato l'Uci a effettuare un nuovo controllo con sistemi più sofisticati" (dall'articolo della Gazzetta dello Sport). Tutto molto chiaro.
Peraltro Giampaolo Caruso ha avuto anche in passato dei problemi legati al doping: nel 2003 fu squalificato per 6 mesi per positività al nandrolone. Successivamente fu coinvolto nell'Operacion Puerto, ma ne uscì immacolato per "insufficienza di prove".
Tornando al caso attuale, è evidente come la politica dei controlli retroattivi - la Wada ha esteso a 10 anni il periodo in cui si possono riesaminare i campioni di sangue e urina - stia iniziando a dare i suoi frutti. Questo anche grazie al supporto, estremamente importante, del passaporto biologico.
Stante l'annosa (e irrisolvibile) questione del "doping che è sempre più avanti dell'antidoping", i controlli retroattivi rappresentano un deterrente per chi pensa di farla franca superando il controllo del momento.


DOPING E TIFOSI - Nel febbraio 2013 scrissi un articolo sul coinvolgimento di Cipollini nelle carte dell'Operacion Puerto, notizia pubblicata in prima pagina dalla Gazzetta dello sport. Il titolo di quel post era "Caso Cipollini: se i tifosi accusano la Gazzetta...". Direte, che fantasia nei titoli! Vero, ma è incredibile come a distanza di due anni e mezzo, leggendo i commenti - in alcuni casi allucinanti - dei tifosi (?) del ciclismo, non sia cambiato nulla. Si leggono le stesse identiche "analisi".
Anche nel caso di Caruso, il busillis non è il quarto caso di doping di un ciclista italiano in questo 2015 (anche se, concretamente, la positività di Caruso è del marzo 2012). No. Il problema diventano i controlli retroattivi (allora "esaminiamo anche Coppi e Bartali!"), il peso della Federazione italiana in seno all'UCI, il ruolo dell'UCI stessa, il consueto, immancabile complotto anti-italiano e altre amenità. Ancora una volta, anziché accogliere con favore le positività emerse in un'ottica di pulizia del mondo del ciclismo, si cade in due tipici atteggiamenti italiani: il benaltrismo (alimentato dalle recenti notizie sull'atletica) e la difesa corporativa. Il benaltrismo, peraltro, finisce per tramutare il tutto in una dimenticabile guerra tra poveri: "Siete più dopati voi!" "No, voi". Riflessioni miserrime.

Ecco un esempio dei commenti apparsi alla notizia di Caruso. Qui riporto quelli apparsi sulla pagina facebook di Cicloweb.it. La stragrande maggioranza preferisce soffermarsi sul dito invece che sulla luna:



La cosa grave è che non solo i tifosi ma anche alcuni addetti ai lavori preferiscono concentrarsi su legittimità e opportunità delle analisi retroattive.
Per chiudere questo post riporto parte dell'articolo pubblicato due anni e mezzo fa. Da allora, l'atteggiamento della maggioranza dei tifosi del ciclismo non è cambiato di una virgola. Purtroppo.

Quello che, invece, infastidisce è l'atteggiamento di alcuni addetti ai lavori o dei (presunti) tifosi che, ancora una volta, dimostrano una scarsissima comprensione della situazione. Molti di loro, infatti, non se la sono presa con l'atleta o con il mondo del ciclismo in cui il doping era (è?) la regola. No. Si sono scagliati contro la Gazzetta dello Sport, rea, a loro modo di vedere, di aver danneggiato per l'ennesima volta l'immagine del ciclismo. Della serie "Il dito e la luna". Come non bastasse, il ragionamento successivo di questi pseudo-tifosi è il seguente: "Sempre e solo ciclismo. Che cominciassero a indagare e a controllare il calcio e gli altri sport. Il ciclismo è stato massacrato in questi anni". Esatto, il ciclismo è stato massacrato. Ma da sè stesso. Il "benaltrismo" è il modo più comodo e sbagliato di sfuggire dalle proprie colpe e responsabilità. Un vero appassionato prova a capire cos'è realmente accaduto e cerca di trovare delle soluzioni per risolvere il problema e per restituire un briciolo di dignità e credibilità al suo sport. Le difese corporative non portano a nulla. Prima si risolvono i problemi in casa propria, poi si può parlare degli altri. Leggendo le accuse alla Gazzetta mi sono tornate in mente le parole del prof. Donati che nel libro "Lo sport del doping" non risparmia critiche anche ai tifosi che, in molti casi, preferiscono emozionarsi per qualcosa di finto anziché interrogarsi o informarsi.



*immagine tratta da www.katushateam.com


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